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Ho 28 anni e non ho mai camminato

Un amico ci ha segnalato questo bellissimo articolo sulla disabilità. Vale la pena leggere il punto di vista di un “diverso” che diverso non è per capire la profondità dell’animo umano e la vera esigenza di chi è abituato a vivere con un problema che l’accompagna notte e giorno. Dobbiamo imparare che c’è sempre qualcuno che soffre più di noi e dobbiamo trasmettere questo forte messaggio ai ragazzi che stanno crescendo perchè solo in questo modo potremo, nel prossimo futuro, avere una società più giusta e più inclusiva.

Cari amici, abito in un piccolo paese di campagna, faccio, un pò per scherzo e un pò di più sul serio, lo scultore. Sono un uomo che vorrebbe diventare uno di voi. Forse qualcuno si chiederà cosa vuol dire. È presto detto: sono un paralitico, uno cioè che al posto di due gambe ha quattro ruote di una carrozzina. La mia è una condizione difficile, che mi ha messo di fronte problemi che sono un po’ diversi da quelli soliti che incontra uno normale, e a domande alle quali la logica e la ragione umana non riescono a dare una risposta. Perché sono diverso, perché non posso camminare come tutti? Perché è capitato proprio a me, che scopo ha la mia vita? Di solito la risposta a queste domande si chiede a Dio, Lui sa ciò che la nostra mente non riesce a capire. Ma chi è Dio, l’essere Buono e Giusto che ci Ama, oppure il mostro sadico che per me aveva scelto una vita così brutta?

Davanti a questi interrogativi ho vissuto anche momenti che lascio a voi immaginare, quando non solo la fede in Dio non c’era più ma non bastava più nemmeno l’amore dei genitori e il bene degli amici a darmi la forza di accettare questa vita che odiavo. È a questo punto che quel Dio che tentavo disperatamente di rifiutare, mi ha costretto ad aprire gli occhi, a capire il valore autentico della mia vita insignificante. E come sempre in un modo semplice e meraviglioso mi ha fatto capire che Gesù Cristo quando dice «chi vuol venire con me prenda ogni giorno la sua croce e mi segua» vuol dire «Franco, prendi la tua croce e seguimi» e a me, che per tanto tempo lo avevo odiato, ha fatto la grazia immensa di farmi capire «sì, vengo con te», mi ha dato la gioia, forse per molti incomprensibile, di scoprire il valore della croce di Gesù Cristo, che trasforma l’inutilità della sofferenza e della morte, nella gloria della resurrezione.
Ma è proprio a questo punto che ho scoperto che la mia vera «croce» non sono le mie gambe che non funzionano.
Dopo aver trovato il vero significato della mia vita, mi sentivo «normale» e lo volevo essere, ma viviamo in una società che misura il valore di un uomo da quello che produce e non da ciò che è, ed uno come me non può essere altro che un invalido, inteso nel senso più ampio della parola.
È per questo che io ora mi trovo nella condizione di un lebbroso ai tempi di Gesù Cristo, al quale non rimaneva altra prospettiva che essere rinchiuso in un lazzaretto e morire sfuggito da tutti. I lazzaretti di oggi si chiamano Isolamento sociale, Solitudine, Mancato inserimento nel mondo del lavoro, Scarsa assistenza sociale.
Così come i grandi Sacerdoti chiudevano i lebbrosi dentro i lazzaretti, oggi ci sono gli amici, che ti accettano per fare una partita a carte, ma non ti chiedono di andare al cinema con loro; c’è la gente che ti vede per la strada e al massimo ti dice «poverino» e ti mette qualche euro in mano; ci sono quelli a cui vai a chiedere un lavoro, perché con la piccola pensione non ce la fai, che ti dicono di no perché potresti scandalizzare i clienti con i tuoi piedi storti; c’è la ragazza di cui ti innamori perché sei un uomo, che ti dice che ti sei sbagliato e che sei solo un amico. E tu ti ricordi che lei è la stessa che prima di diceva «sei come tutti gli altri, per me vali per quello che sei».
Ma il Cristo? Il Cristo che 2000 anni fa in Galilea mondava i lebbrosi e guariva gli storpi è davvero morto sulla croce? No amici, perché se io paralitico posso essere il Cristo che porta la croce, ognuno di voi sani può essere il Cristo che monda i lebbrosi e guarisce gli storpi. Lo so bene che non potete dire «alzati e cammina», e non ve lo chiedo, ma potete dire «vieni con me nel lavoro…». Qualcuno nella vita può dirmi «vieni con me perché ti amo per quello che sei, e non m’importa delle tue gambe inutili» ed io anche allora mi alzerei e andrei. Questo potete farlo e non chiedo niente di più.
Quello che vi chiedo è una cosa sola: quando mi incontrate, chiunque voi siate, qualunque sentimento proviate davanti a me, cercate di dimenticare di essere davanti ad una carrozzina, cercate di mettervi davanti all’uomo che c’è sopra, solo cosi potete aiutarmi ad essere uno di voi, perché se incontrandomi voi vedete solo una carrozzina, mi darete l’unico sentimento che non voglio e non vi chiedo: la pietà, non la pietà cristiana che potrei anche accettare, perché è amore, ma la pietà umana, quella che è più giusto chiamare compassione. È la sola cosa che non vi chiedo.
Vi abbraccio tutti.
Francesco Bacchi

Francesco Bacchi, paraplegico dalla nascita (avvenuta il 18 marzo 1945), ha scritto all’età di 28 anni.

Nella foto che accompagna l’articolo, il cui contenuto tratta con enorme sensibilità il tema delle disabilità, sono presenti Vincenzo Bacchi che accompagna il fratello Francesco, nel giorno del suo matrimonio.

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